top of page

Lingua e letteratura kannaḌa

(di Lizzy Catherine Galiazzo)

 

Corso di Modelli Comunicativi della Contemporaneità

Prof. THOMAS DÄHNHARDT

A.A. 2015/2016

Università Ca’ Foscari, Venezia

INDICE

1. LE LINGUE DRAVIDICHE

       Introduzione 

1.1. Teorie della nascita e sviluppo 

1.2. Struttura generale delle lingue dravidiche

1.3. Riferimenti testuali e influenze lessicali 

2. KANNAḌA

       Introduzione 

2.1. La lingua kannaḍa 

2.2. Dizionari e grammatiche 

2.3. La letteratura kannaḍa 

2.4. La letteratura medievale 

2.5. La letteratura vīraśaiva 

2.6. La letteratura haridāsa 

2.7. Kathana: la narrativa storica 

BIBLIOGRAFIA

 

SITOGRAFIA 

1. LE LINGUE DRAVIDICHE

Introduzione

La famiglia delle lingue dravidiche è composta da circa 70 lingue parlate principalmente in Asia meridionale. Esse sono parlate da più di 215 milioni di persone e la maggior parte dei parlanti sono concentrati in India meridionale e centrale; la loro diffusione si concentra a sud dei Monti Vindhya attraverso la piana del Deccan fino all’estremo meridionale dell’India continentale a Capo Cormorin. Le lingue dravidiche, inoltre, sono parlate in Bangladesh, Nepal, Pakistan, Sri Lanka e fuori dal Sud Asia. La lingua tamil, appartenente alla famiglia delle lingue dravidiche, è parlata anche nelle isole Fiji, in Indonesia, Malesia, Martinica, Mauritius, Myanmar, Singapore, Sud Africa e Trinidad. [1] Le lingue più parlate e diffuse sono il telugu, tamil, malayalam e kannaḍa, riconosciute come lingue ufficiali dalla costituzione indiana, e sono rispettivamente le lingue ufficiali degli stati dell'Andhra Pradesh, Tamil Nadu, Kerala e Karnataka. [2]

Vi sono in totale 26 lingue appartenenti al ceppo dravidico. Esse sono classificate in quattro sottogruppi [3]:

  1. dravidico del sud: tamil, malayalam, irula, kurumba, kodagu, toda, kota, badaga, kannaḍa, tulu;

  2. dravidico del centro-sud: telugu, gondi (diversi diletti), konda, kui, kuvi, pengo, manda;

  3. dravidico del centro: kolami, naikri, parji, ollari, gadaba;

  4. dravidico del nord: kurux, malto, brahui.

1.1 Teorie sulla nascita e sviluppo

Vi è una considerevole letteratura sviluppatasi intorno alla teoria che il Subcontinente indiano sia un'area linguistica dove, attraverso l'esteso bilinguismo regionale, più famiglie linguistiche si siano sviluppate con strutture convergenti. [4] E' ben noto come le famiglie linguistiche dell'indo-ario e del dravidico abbiano sviluppato strutture analoghe nel sistema fonetico e nella grammatica grazie a plurimi contatti risalenti al II millennio a.C.

Già nel 1816, Francis Whyte Ellis, un funzionario inglese, nella sua dissertazione sul telugu, aveva affermato " [...] the high and low Tamil; the Telugu, grammatical and vulgar; Carnataca or Cannadi, ancient and modern; Malayalma or Malayaḷam … and Tuluva [...]" sono i membri "[...] constituting the family of languages which may be appropriately called the dialects of South India". [5]

Il suo scopo era quello di dimostrare che tamil, telugu e kannada 'formano una famiglia distinta di lingue' con la quale 'il sanscrito è, negli ultimi tempi, in particolare, mescolato, ma con il quale non hanno alcun legame radicale'. Presentò ingenti materiali illustrativi, soprattutto lessicali e grammaticali dal telugu, kannaḍa e tamil a sostegno della sua ipotesi. Ellis aveva riconosciuto perciò le lingue dravidiche come una famiglia linguistica a se stante. Trent'anni dopo Sir William Jones lanciava il concetto di 'famiglia linguistica' nella sua famosa conferenza tenutasi presso la Società Asiatica del Bengala a Calcutta, il 2 Febbraio 1786. [6]

Burrow dimostrò in seguito come l'influenza tra il ceppo dravidico e il ceppo indo-ario non sia stato un condizionamento unilaterale ma come, già in tempi preistorici, le stesse lingue dravidiche avessero esercitato una certa influenza sulle lingue indo-arie. [7]

Robert Caldwell [8] nella sua opera titolata Comparative Grammar of the Dravidian or South Family of Languages (1856) fu il primo ad utilizzare il termine generico 'dravidico' come il nome di una famiglia linguistica. La parola draviḍa/drāmiḍa e le sue forme aggettivali si registrano già nella letteratura classica sanscrita del III secolo a.C. come un nome che si riferisce ad un paese e alla sua gente. Il termine draviḍa come nome di una vera e propria lingua si attesta in Kumārila Bhaṭṭa nel Tantravarttika ("Esposizione nelle scienze sacre") del VII secolo d.C. In questo caso come in altri analoghi, vi è ragione di credere che con questo nome si faccia riferimento al paese del Tamil, alla sua popolazione e alla lingua di questi. [9] Caldwell cita, inoltre, altre diverse fonti come Manusmṛti, Nāṭyaśāstra, e Mahābhārata dove il termine draviḍa è usato come il nome di un popolo mentre draviḍi è usato come un pracrito minore derivante dal gruppo paiśācī. [10]

Il nuovo nome fu il risultato dunque di un adattamento del termine sanscrito draviḍa utilizzato tradizionalmente per indicare la lingua ed il popolo Tamil e in alcuni contesti più in generale le popolazione del sud dell'India ma dal momento che 'tamiz' era la parola stabilita per la lingua tamil fino all'epoca di Caldwell, egli coniò il termine 'dravidica' per rappresentare tutta la famiglia linguistica, trovando in seguito approvazione unanime. [11] A tal riguardo Caldwell afferma:

“The word I have chosen is ‘Dravidian’, from Drāviḍa, the adjectival form of Draviḍa. This term, it is true, has sometimes been used, and is still sometimes used, in almost as restricted a sense as that of Tamil itself, so that though on the whole it is the best term I can find, I admit it is not perfectly free from ambiguity. It is a term which has already been used more or less distinctively by Sanskrit philologists, as a generic appellation for the South Indian people and their languages, and it is the only single term they ever seem to have used in this manner. I have, therefore, no doubt of the propriety of adopting it.” [12]

Non vi sono testimonianze archeologiche o linguistiche che mostrino quando le popolazioni parlanti lingue dravidiche siano entrate nel Subcontinente, ma si è a conoscenza del fatto che queste popolazioni fossero già presenti nell'area del nord-ovest dell'India prima ancora dell'arrivo delle popolazioni indo-arie nel XV sec a.C. Molti studiosi, infatti, hanno sostenuto, senza però fornire alcuna prova convincente, che le popolazioni draviḍa siano entrate in India dal nord-ovest due millenni prima dell'arrivo degli indo-arii. Vi sono stati molti studi che hanno tentato di trovare un nesso tra le lingue dravidiche e le lingue parlate fuori dal Subcontinente, ma nessuna delle ipotesi formulate è stata provata con certezza. La maggior parte delle teorie secondo cui i proto-draviḍa siano entrati nel Subcontinente dall'esterno sono basate principalmente sulla nozione che la lingua brahui fosse il risultato linguistico dello spostamento dei proto-draviḍa e che la popolazione originaria del Subcontinente fosse più riconoscibile nelle popolazioni dravida rispetto ad altre.

Ciò che è certo è che i draviḍa si fossero insediati nelle regioni nord-occidentali del Subcontinente. Ciò viene provato dal fatto che il sanscrito vedico, la prima forma di sanscrito conosciuta, avesse già oltre una dozzina di termini presi in prestito dal dravidico. Alcuni esempi sono: ulūkhala- ‘mortaio,’ kuṇḍa ‘pozzo’, khála- ‘aia’, kāṇá- ‘avente un occhio’ e mayūra ‘pavone’. Anche l'introduzione delle consonanti retroflesse è stata accreditata come la risultante del contatto avvenuto tra parlanti la lingua sanscrita e i parlanti lingue dravidiche. Le forme più antiche delle lingue dravidiche si rintracciano però nell'India del sud dove esse non sono state esposte all'influenza del sanscrito fino al V sec. a.C. Ciò sosterrebbe la tesi che le popolazioni parlanti lingue dravidiche fossero già presenti nel Subcontinente ancor prima dell'arrivo degli indo-arii. [13]

1.2. Struttura generale delle lingue dravidiche

Tutte le lingue dravidiche sono agglutinanti, vale a dire, le relazioni grammaticali sono indicate con l'aggiunta di suffissi a radici. I suffissi sono legati insieme uno dopo l'altro con la composizione a volte di parole molto lunghe. Come tutte le lingue agglutinanti, le lingue dravidiche usano posposizioni piuttosto che preposizioni per segnare le relazioni grammaticali. L'ordine standard delle parole delle lingue dravidiche è soggetto-oggetto-verbo, ma sono ammessi anche altri ordini. In queste lingue sono inoltre presenti indicatori speciali per segnalare l'argomento principale e per la messa a fuoco di determinate informazioni. Il sistema verbale delle lingue dravidiche prevede la flessione del verbo a seconda del tempo, modo, voce, causatività e atteggiamento.
Nella maggior parte delle lingue, i verbi sono concordati con i loro soggetti in genere, numero e persona. I pronomi soggetto sono normalmente eliminati poiché le informazioni sull'argomento sono portate dal verbo stesso.

Le lingue dravidiche si servono nella loro forma scritta di alfabeti sillabici in cui tutte le consonanti presuppongono una vocale inerente. I diacritici posizionati al di sopra, sotto, prima o dopo le consonanti indicano il cambiamento di una vocale diversa o la soppressione della vocale intrinseca. Quando appaiono a inizio di sillaba le vocali sono scritte con segni indipendenti, mentre quando due consonanti occorrono insieme si utilizzano simboli congiunti che uniscono le parti di ogni lettera.

1.3. Riferimenti testuali e influenze lessicali

Eccetto un vocabolo di possibile origine dravidica nel testo ebraico della Bibbia (tukkhiyim ‘pavoni’; cf. tamil: tokai ‘coda di pavone’), le lingue dravidiche entrano soprattutto nella storia dei testi sanscriti e greco-romani.

I Chera, dinastia dell'India del sud, sono menzionati nel testi antichi sanscriti del Aitareya Aranyaka. Kātyāyana, grammatico del IV secolo a.C. menziona il paese dei Pandya, Cola, e Kerala o Chera; queste terre, inoltre, erano ben note anche a Kautilya [14] (IV sec. a.C.) e sono registrate ancora sui grandi pilastri di Aśoka risalenti al III sec. a.C.

Un certo numero di termini dravidici, per la maggior parte termini geografici o nomi di dinastie, compaiono anche in fonti greco-romane come nel Periplus maris Erythraei (“Circumnavigazione del mare Eritreo”) [15] e negli scritti di Tolomeo di Naukratis del II sec. d.C.

È molto probabile che il termine 'riso' (in latino 'oryza', in inglese 'rice', in greco 'oryza') e il termine 'zenzero' (in inglese 'ginger', in tedesco 'ingwer', in greco 'zingiberis') siano prestiti dall'antico tamil nel quale sono rispettivamente 'arici' e 'iñciver'. [16]

In tempi passati le lingue dravidiche sono infatti venute più volte in contatto con il mondo occidentale e ciò è consolidato anche da fonti archeologiche materiali come le monete che testimoniano viaggi di mercanti romani verso gli empori di spezie lungo la costa del Tamil Nadu.

Durante il regno di Aśoka (III sec. a.C.) le due lingue dravidiche del sud, il tamil e il kannaḍa, si svilupparono in due diversi idiomi e le due culture emersero come entità separate; una terza maggiore entità linguistica, il telugu, apparve nella regione dell’Andhra. Ta il 300 e il 100 a.C. uno dei proto-dialetti del tamil, probabilmente quello diffuso nella regione intorno a Madurai, guadagnò in prestigio e divenne lo standard linguistico letterario e la forma scritta dell'antico tamil venne poi fissata nei testi poetici e nelle prime grammatiche. [17]

Le fonti più importanti dei primi prestiti lessicali alla lingua dravidica sono stati: il sanscrito, il pali, e i vari pracriti. Diverse lingue dravidiche hanno preso in prestito termini delle lingue vicine di famiglia indo-aria. Di tutte queste il tamil presenta il minor numero di prestiti di parole indo-arie, mentre nel malyalam e telugu la percentuale dei prestiti aumenta notevolmente. Nei tempi moderni le lingue dravidiche hanno preso in prestito termini anche dalla urdu, dal portoghese e dall'inglese.

Rispetto al lavoro svolto per altre famiglie linguistiche, i progressi negli studi comparativi delle lingue dravidiche sono stati lenti e i risultati sono ancora modesti. Risulta invece considerevole la conoscenza acquisita dallo studio comparativo della fonologia ma molto poco si è fatto sullo studio dei processi grammaticali e mancano ancora grammatiche storiche delle lingue letterarie.

2. KANNAḌA

Introduzione

La lingua kannaḍa fa parte della famiglia delle lingue dravidiche ed è parlata secondo il censo dell'inizio del XX sec. da circa 38 milioni di persone come prima lingua nello stato del Karnataka, dove è a tutti gli effetti la lingua ufficiale e madrelingua della maggior parte della popolazione, e da 910.000.000 persone come seconda lingua. È la seconda lingua per i parlanti di madrelingua tulu e kodagu. Il kannaḍa è la seconda lingua più antica tra le quattro maggiori lingue dravidiche, la prima iscrizione attestata in lingua kannaḍa, è stata reperita vicino al villaggio di Halmidi nel distretto di Hassan ed è datata al 450 d.C. Nel 2008, il governo indiano ha riconosciuto al kannada lo status di lingua classica. [18]

Il kannaḍa vanta una tradizione letteraria continuativa dal IX secolo ad oggi e solo la lingua tamil mostra al confronto una tradizione più longeva. Il kannaḍa si evolve attraverso diverse dimensioni: storica, geografica, sociale e registro linguistico. La lingua testimonia tre stadi principali: antico kannaḍa (halegannada)  (450 d.C.-1200 d.C.); medio kannaḍa (1200-1700); moderno kannaḍa (1700-oggi).[19]

La lingua include quattro maggiori dialetti regionali che possono essere suddivisi a loro volta in gradazioni ancora più differenziati. Il dialetto del sud include le varietà parlate intorno all'area delle maggiori città di Bangalore e Mysore; il dialetto del nord è diffuso nell'area della città di Dharwar; il dialetto dell'area ovest nel distretto di Mangalore e infine la variante del nord-est mostra somiglianze con la lingua marathi appartenente al ceppo indo-ario.

L'esistenza di dialetti castali in kannaḍa riflette il fatto storico che gran parte della tradizione sociale e delle interazioni economiche rispettino le strutture castali di cui la prima distinzione in assoluto appare essere quella tra brahmani e non-brahmani.

Per quanto le differenze tra le due varianti maggiori non siano così prominenti, la lingua kannaḍa è soggetta a diglossia. [20] Il kannaḍa colloquiale standard riflette la lingua dei parlanti educati intorno all'area delle città di Bangalore e Mysore. Questo standard è storicamente basato sulla lingua parlata dal brahmano Kannadigas. Sebbene questo standard differisca dallo standard letterario del kannaḍa, esso rimane in qualche modo quello più vicino alla forma letteraria rispetto ai dialetti del nord e nord-est.[21]

2.1. La lingua  kannaḍa

La lingua utilizza 49 lettere fonemiche, divise in tre gruppi: swaragalu: a, ā, i, ī, u, ū, e, ē, o, ō, œ (vocali - tredici lettere); vyanjanagalu (consonanti - trentaquattro lettere); e yogavaahakagalu (né vocale né consonante - due lettere: anusvara e visarga). Il set di caratteri è quasi identico a quello di altre lingue indiane. La lingua è quasi perfettamente fonetica tranne per il suono di un "mezza n" (che diventa mezza m). Il numero di simboli scritti, tuttavia, è molto superiore ai quarantanove caratteri dell'alfabeto poiché possono essere combinati caratteri diversi per formare termini composti (ottākṣara). Ogni simbolo nello scritto del kannaḍa corrisponde a una sillaba e dunque l'alfabeto si dice sillabico. La lingua contempla un certo numero di verbi irregolari. Tutte i verbi in kannaḍa hanno due forme basi: la forma primaria e la forma del passato. La forma del passato funge da base per tutti i paradigmi passati, paradigmi contingenti, congiuntivo anteriore, condizionale, passato nominale; per tutte gli altri paradigmi si usa la forma primaria.

I sostantivi sono marcati da caso, numero, e genere. La lingua contempla sette casi: nominativo, accusativo, genitivo, dativo, locativo, strumentale e vocativo. La lingua kannaḍa conta un gran numero di posposizioni che implementano il sistema dei casi: esprimono più nello specifico le relazioni semantiche. Conta due coniugazioni verbali: la prima comprende molti verbi la cui forma base termina in -u come māḍu 'fare, lavorare'; la seconda comprende verbi la cui forma base termina in -e o -i come kare 'chiamare', kuḍi 'bere'.

Il kannaḍa riconosce una divisione primaria tra nomi riferiti alla condizione umana e quelli neutri riferiti ad oggetti. La classe dei nomi 'umani' è poi suddivisa in genere maschile e femminile. Questa classificazione è supportata dalla morfologia verbale: mentre i nomi neutri hanno un suffisso distinto per il plurale tutti gli altri nomi maschili e femminili condividono lo stesso suffisso per il plurale. Il genere è 'naturale', non grammaticale. Gli esseri soprannaturali e i corpi planetari sono considerati nomi 'umani' i.e. surya, candra. I nomi planetari sono considerati di genere maschile. [22]

L'ordine delle parole in una frase segue l'ordine di soggetto-oggetto-verbo, il genitivo precede i nomi, i verbi principali precedono i loro ausiliari. La frase semplice, invece, consiste in soggetto-predicato. [23]

2.2. Dizionari e grammatiche

La nascita dei primi dizionari si riconduce alla fine del X sec. a.C. Un certo numero di dizionari furono compilati da Ranna (990 conservati frammentariamente) e sono scritti in kannaḍa-sanscrito. Un'altra opera rilevante è il lavoro di Nagavarman I, il Chandombudhi  (“Mare dei Metri”), che raccoglie una sofisticata serie di analisi sulla metrica del kannaḍa. La tradizione grammaticale vera e propria si fa però risalire alla mano di Nagavarman II con il Karṇāṭakabhāṣābhūṣaṇa (“L'ornamento della lingua kannaḍa”) composto in sutra in sanscrito, per culminare successivamente con la grammatica di Keśirāja (1260 d.C., corte di Hoysala), il Śabdamaṇidarpaṇa. Questa ultima grammatica è uno straordinario lavoro che prende in esame il processo dell'unificazione della lingua vernacolare e la sua standardizzazione prima dell'età moderna.

L'opera ad oggi più conosciuta è però il Karnātaka Śabdānuśāna (1604) di Bhattakalanka Deva, la grammatica più comprensiva della lingua kannaḍa scritta in 592 sutra con una glossa e commentario nella stessa lingua.

2.3. La letteratura kannaḍa

La letteratura kannaḍa è stata influenzata in larga parte dai movimenti lingayat (vīraśaiva) [24] e haridāsa [25]. Nel XVI secolo il movimento devozionale haridāsa raggiunse il suo apice con  Purandaradasa e Kankadāsa, il primo dei quali è considerato il padre della musica in Karnataka e iniziatore della musica classica nel Sud dell'India.

La prima opera esistente interamente in kannaḍa è Vaḍḍārādhane di Śivakōṭi (c. 900 d.C.), un lavoro in prosa sulle vite dei santi jaina a lui precedenti, scritto in antico kannaḍa (pūrva-haḷa-kannaḍa). [26]

Nonostante l'opera di Śivakōṭi sia più retrodatata, la nascita della letteratura kannaḍa è tradizionalmente riconosciuta nell'opera Kavirajamarga (“Il sentiero Regale dei Poeti” IX sec. d.C.), che rappresenta il primo lavoro disponibile sulla retorica, poetica e grammatica in lingua kannada. È stato scritto dal celebre re della dinastia Rashtrakuta, Amoghavarsha I, aiutato molto probabilmente da un poeta di corte e teorico della lingua kannaḍa, Sri Vijaya. L'opera descrive per la prima volta la regione del Kannada, il suo popolo, la sua lingua e i suoi dialetti. Il testo è basato in parte sul celebre Kāvyādarśa [27] di Daṇḍin (680–720 d.C. ). [28]

Nella letteratura kannaḍa, il periodo che va da X al XIII sec. fu dominato dalle cosiddette 'tre gemme' della letteratura jaina: Pampa, Ponna e Ranna. Dalle testimonianze epigrafiche si è a conoscenza del fatto che il kannaḍa era a tutti gli effetti una lingua d'uso già a partire già dal V sec. d.C. Anche se l'opera Kavirajamarga si riferisce a diversi poeti precedenti e alle loro opere ma molte di queste ultime non sono rintracciabili.

Abhinava Pampa (c. 940), proveniente da una famiglia di Vengi e vissuto alla corte del sovrano Rāshtrakūta Krishna III, è noto per aver scritto due grandi poemi in giovane età: Vikramārjuna Vijaya e Ādipurāṇa.

La prima, Vikramarjuna Vijaya (“Vittoria del potente Arjuna”, 941 d.C.), è la versione in lingua kannaḍa del grande poema epico di Vyasa, il Mahābhārata, chiamato per questa ragione anche Pampa-Bhārata. Nell'opera di Pampa, Arjuna è il protagonista indiscusso e la figura in cui il poeta identifica il suo patrono Arikesari. La sua opera acquista un accentuato rilievo storico poiché introduce nella narrativa molti dettagli della periodo storico a lui contemporaneo.

Si può affermare che Pampa sia stato il primo poeta nella storia della letteratura kannaḍa vera e propria. Gli stili desi e marga dei nativi kannaḍa e altri stili influenzati dal sanscrito divennero sempre più evidenti, e Pampa sapeva destreggiarsi bene con tutti. L'altra sua grande opera l'Ādipurāṇa composta in sedici canti tratta il raggiungimento della salvezza di Puradeva, il primo tra i ventiquattro tirthānkara. [29] La storia narra delle vicende dell'eroe santo Jaina Puradeva, delle sue vite precedenti, della sua nascita, matrimonio e le vicende dei figli Bharata e Bahubali.

Puradeva, a fronte delle continue lotte tra i due figli  per il potere e la gloria, decise di dividere il regno in due parti. Tuttavia, Bharata aspirando a diventare l'unico vincitore sulla terra venne sfidato da Bahubali il quale alla fine verrà sopraffatto. Bahubali perciò dopo aver rinunciato a tutto in favore del fratello diventa un kevalin. [30] Ci sono diversi episodi jaina narrati nel mezzo, episodi con elementi umani d'amore, amicizia, lealtà, opulenza, piacere, intrisi di messaggi con elementi morali e spirituali. Entrambe le sue opere sono in stile campū.

Sri Ponna (c. 950) fu un poeta kannaḍa alla corte del re di dinastia Rashtrakuta Krishna III (939-968 CE). L'imperatore conferì a Sri Ponna il titolo di kavichakravarthi ("imperatore tra i poeti") per il suo dominio del kannaḍa nei circoli letterari del tempo, e il titolo Ubhayakavi Chakravarti di ("poeta imperiale di due lingue") per la sua padronanza anche nella lingua sanscrita. Secondo lo studioso R. Narasimhacharya, Ponna è noto per la sua superiorità su tutti i poeti del tempo. Secondo gli studiosi Nilakanta Shastri ed E.P. Riso, Ponna apparteneva a Vengi, nella moderna Andhra Pradesh, ma poi migrò a Manyakheta (nell’odierna Gulbarga, Karnataka), la capitale Rashtrakuta, dopo la sua conversione al jainismo. [31] Le sue opere più famose esistenti in kannaḍa sono Shantipurāṇa, scritto in stile campū, e Bhuvanaika-Ramabhyudaya, un'eulogia, e Jinaksharamale, un purāṇa jaina.

Lo Shantipurana è un importante elogio del 16° tīrthānkara jaina e imperatore Shantinatha. Fu scritto per commemorare il raggiungimento del nirvana del guru jaina chiamato Jainachandra Deva. Il testo comprende dodici sezioni (aśwasas) di cui nove sezioni si concentrano su undici vite precedenti di Shantinatha mentre le rimanenti tre sezioni danno dettagli biografici del protagonista. In questo scritto, Ponna prende in prestito in modo significativo precedenti opere del poeta sanscrito Kālidāsa. Egli sembra anche aver usato come fonte un poema narrativo scritto da un poeta kannaḍa chiamato Asaga le cui opere sono ormai irreperibili. L'affermazione di Ponna che il suo lavoro sia superiore a quella di Asaga ci dà informazioni sul fatto che quest'ultimo dovesse esser stato considerato un importante poeta di quel periodo.

Ranna (949 d.C.) fu il terzo e grande antico poeta riconosciuto come kavichakravarti alla corte del re Chalukya Taila II e dal suo successore. Le sue opere attualmente disponibili sono Ajītapurāṇa Tirthankara Purāṇa, Gadayuddha, mentre le altre due opere, Paraśurāma-carita e Cakreśvara-carita sono andate perdute. Il primo componimento narra la storia della vita di Ajītaswami, il secondo dei ventiquattro tirthankara. L'opera fu redatta sotto richiesta di Attimabbe, la moglie del generale Nagavarma, la quale una volta rimasta vedova si impegnò nella promozione della causa del jainismo. [32] La seconda opera, Gadayuddha, è un poema eroico che si focalizza sull'ultima fase della guerra del grande poema epico Mahābhārata e con Bhima come eroe protagonista. Questo classico è noto anche come Sahasa Bhima Vijaya. Ranna, utilizza in questa sua opera la tecnica del simhavalokana krama o del flashback: sebbene il combattimento tra Bhima e Duryodhana sia l'episodio principe che si svolge in una giornata, l'intera storia del Mahābhārata viene raccontata tramite un dialogo e con un procedimento di rammemoramento che procede a ritroso. [33] Entrambe le opere sono state scritte in stile campū.

2.4. Letteratura medievale

Nel XII secolo la letteratura kannaḍa conosce una crescita molto versatile. È in questo periodo, infatti, che opere jaina, hindu ortodosse e vīraśaiva cercano di rappresentare la vera bhakti o devozione e il raggiungimento del mokṣa. Si redigono inoltre opere sulla matematica, veterinaria e a tal riguardo si ricordi l'opera enciclopedica del Lokopakaram, scritto da un bramino advaita śaiva, dove sono raccolti contenuti riguardanti astrologia, architettura, medicina, orticoltura e così via. Altre opere degne di nota sono:

  • Kshetraganita, Vyavaharaganita, e Lilavati di Rajaditya (XI secolo d.C.);

  • Karnataka Kalyanakaraka  di Jagaddala Somanatha, opera sulla medicina (XII secolo d.C.);

  • Govaidya di Keertivarma (1125 dC).

I poeti Harihara e suo nipote Rāghavāṅka sono riconosciuti come i capofila nella letteratura kannaḍa. L'opera Girijakalyana di Harihara, adottando la storia della nascita di Kumara o Shanmukha, propone la personale visione dello Śivaismo dell'autore. Il ragale è una forma di componimento in versi sciolti creata da Harihara per mezzo della quale narra lo stile di vita e le realizzazione di santi śaiva e santi vīraśaiva. L'opera più conosciuta di Harihara è Basavarajadevara Ragale, una biografia poetica di Basava interessante anche da un punto di vista storico poiché visse in un periodo molto vicino a quello di Basava. Sono sopravvissute solo 13 delle 25 sezioni originali. Compose anche un lavoro in metro campū , il Girija Kalyana, altra opera devozionale.

Rāghavāṅka sviluppa nella sua massima bellezza il metro shatpadi o la cosiddetta strofa dei sei-allineati che divenne molto popolare nei secoli successivi come forma di metrica indigena. Scrisse sei opere tutti in metro ṣhatpadi: Hariśchandra Kavya, Siddharama Charitra, Vīreśa Charite, Sharabha Charitre e Harihara Mahattva. È molto noto come poeta drammatico poiché dipinge gli eventi, personaggi e dialoghi con molta più minuzia rispetto al suo maestro Harihara. Di Rāghavāṅka si sa che era molto devoto a Śiva.

Un altro grande poeta nella letteratura kannaḍa è Janna, non solo poeta ma anche ministro e patrocinatore della costruzione di molti templi. Gli fu conferito il titolo di  kavichakravarti dal re di Hoysala Viraballala. Il suo lavoro Yaśhodhara Charitre (1209) narra la vicenda di un re che vuole sacrificare due bambini alla dea Mariamma, ma dopo aver udito le loro storie rinuncia nel suo intento e abbandona definitivamente la pratica del sacrificio di esseri viventi. La seconda opera, Anantanāthpurāna (1230), descrive gli insegnamenti del 14° tirthankara. Janna è riconosciuto come un poeta di alto livello per le sue celebri rappresentazioni d'amore di cui vengono dipinti le più svariate sfaccettature. Nonostante i protagonisti siano figure religiosi, essi sono rappresentati in forma intensamente umana riuscendo allo stesso tempo ad enfatizzare i valori eterni dell'esistenza.

Sūkti Sudhārṇava è invece un'antologia dell'asceta Mallikārjuna utile allo studio della poesia antica del kannaḍa. L'autore cita una ventina di poeti che lo hanno preceduto come esempi. Il suo stile è conosciuto per la sua eleganza e dignità.

Keśirāja (1260), figlio di Mallikārjuna, fu invece un noto grammatico. Lo Śabdamaṇidarpaṇa, la grammatica da lui composta, è un lavoro autorevole ed esaustivo sulla grammatica standard kannaḍa; le regole sono spiegate in metro kanda e seguite da una parte di spiegazione in prosa scritta dall'autore stesso. Egli era un grande studioso del sanscrito e cita copiosamente autori a lui precedenti. Questo lavoro acquistò nel tempo molta importanza poiché mostra lo sviluppo del kannaḍa negli ultimi tre secoli. Nayasena (1112 d.C.) e Andayya (1235 d.C.), appartengono anch'essi a questo periodo storico e hanno insistito molto sull'uso puro della lingua kannada. Nayasena compose uno scritto per un pubblico comune. Egli scrisse inoltre Dharmamrita, una raccolta di racconti che riflette le convinzioni contemporanee e i costumi jaina. L'autore utilizza centinaia di proverbi in uso al tempo per passare con più vigore il suo messaggio al lettore. Ogni storia ha una morale basata sui principi del jainismo. Lo stile lucido e semplice impiegato nelle sue composizioni rende facile e immediata la comprensione dei testi. Andayya è un autore che cercò radicalmente di far uso esclusivamente di parole kannada nei suoi scritti.

Samayaparikshe di Brahmasiva (1150 d.C.) è un lavoro unico che partendo da uno studio comparato delle religioni contemporanee cerca di stabilire la superiorità del jainismo, ossia la fede dell'autore. Immerso in un periodo in cui il jainismo era in declino e la corrente viraśaiva stava guadagnando terreno, egli critica violentemente tutte le altre sette e le loro credenze.

2.5. La letteratura vīraśaiva

La letteratura medievale kannaḍa copre un periodo di circa sette secoli a partire dal XII sec d.C. Nella seconda metà di questo periodo storico si affermò e si consolidò l'impero di Vijayanagar (1336-1650 d.C.) e la nascita di altri regni minori caratterizzò in modo unico la letteratura del kannaḍa. In aggiunta il fiorire di movimenti bhakti śaiva e vaiṣṇava giocò un ruolo decisivo nella produzione di alcune specifiche tipologie di componimenti. L'influenza maggiore dei movimenti bhakti fu probabilmente quello di aver liberato il linguaggio dalle convenzioni stereotipate della letteratura di corte e di conseguenza di aver dato alla luce forme di componimenti più brevi come i vachana e kirtana molto più accessibile anche al popolo. [34] Gli autori vissuti in questo periodo storico abbandonarono il campū della letteratura di corte e adottarono metri come lo ṣhatpadi, tripadi, e sangatya. La tendenza generale della letteratura kannaḍa nel periodo medievale può essere tradotta come un processo di vernacolarizzazione e popularizzazione nel contenuto e nella forma poetica.

Il vīraśaivismo, movimento influente successivo a quello jaina, contribuì ad una grande fioritura e sviluppo della letteratura kannaḍa. Il movimento fiorì intorno al XI sec d.C. in Karnataka quando il jainismo iniziava a vedere il tramonto della sua influenza. La fede vīraśaiva guadagnò anche il supporto di classi dirigenti ma era principalmente sotto il controllo di monasteri e istituti educativi. Gli autori appartenenti a questo movimento, infatti, scrissero molti testi religiosi in lingua kannaḍa palesando una netta preferenza per il testo in prosa, adottando un linguaggio semplice e vicino a quello del popolo. [35] 

Basava (1105-1168 d.C.) e altri santi iniziarono a comunicare le loro credenze e loro idee in kannaḍa utilizzando la lingua della gente comune, allontanandosi sempre di più da un registro sanscritizzato compreso fino a quel tempo solo dai Brahmani. Le loro posizioni più radicali sulla società e religione venivano espresse in registro popolare rigettando non solo il ritualismo brahmanico ma anche l'ascetismo jaina. Vi furono più un centinaio di scrittori appartenenti alla confessione vīraśaiva tra i quali si contano anche un gran numero di donne.

Oltre a Basava a cui sono ascritti quattro opere e a suo nipote Chenna Basava, è necessario far menzione a due gruppi di maestri e insegnanti tenuti in grande rispetto dalla tradizione in Karnataka tutti contemporanei di Basava o che gli precedettero di poco.

I tre paṇḍita: Mancanna conosciuto come Śivalenka, Śripati Pandita, Mallikārjuna Panditārādhya; i cinque maestri: Rēṇukacarya di Kollipāka, Maruḷa Siddha di Kollāpura, Panditārādhya, Ekōrāmi Tande e Viśvēśvarācārya.[36]

I cinque poeti-santi del movimento vīraśaiva furono:

  • Basava, riformatore sociale e ministro del re jaina Bijala;

  • Allama Prabhu (1150), maestro di metafisica;

  • Mahādēviyakka (1150), una donna santa cantrice di poemi d'amore a Śiva;

  • Cannabasava, teologo brillante del movimento, elaborò la teoria dei 'sei stadi' di ascendenza mistica rivolta ai devoti;

  • Siddharma.

Basava, diverse sono le opere sono attribuite a Basava venerate nella comunità Lingayat. Queste  includono vari vachana come il Shat-sthala-vachana (discorsi dei sei stadi della salvezza), Kala-jnana-vachana (le previsioni del futuro), Mantra-gopya, Ghatachakra-vachana e Raja-yoga-vachana. Altre opere con agiografie sulla vita di Basava sono del XV secolo come Mala Basava-raja-charitre e del XVII secolo come Vrishabhendra Vijaya.

Lo studioso Velcheru Narayana Rao sostiene che le poesie e le leggende su Basava siano state scritte molto tempo dopo la sua morte. [37] Ciò ha sollevato domande circa l'accuratezza e l'interpolazione creativa da parte di autori che non erano testimoni diretti, e che essi abbiano derivato il loro lavoro basandosi sulla propria memoria, leggende e dicerie di altri. Basava sostenne un culto devozionale che respingesse il culto del tempio e i rituali guidati da brahmani, e lo sostituì con il culto diretto personalizzato di Śiva attraverso pratiche come l'indossare piccole icone singolarmente e simboli come un piccolo linga. Questo approccio ha portato la presenza di Śiva a tutti e in ogni momento, senza discriminazione di casta o casta. La poesia di Basava parlano di un forte senso di uguaglianza di genere e legame della comunità, disposto a fare la guerra per la giusta causa.

Mahādēviyakka (1150), cresciuta in una famiglia di mercanti di Uduthadi e dopo esser stata forzata ad un matrimonio si unì alla causa di Basava. Utilizza un linguaggio intimo e imbevuto di quel tono commuovente di chi sembra esser intossicato dall'amore divino. Fa uso di molte metafore soprattutto riguardo la natura. I suoi poemi cantati sono molto intensi e impregnati dai morsi della separazione e dalla gioia dell'unione. Un gruppo dei suoi vachana catturano l'estasi di esser sposata e unita al “imperituro, perfetto, senza forma.” Ha inoltre scritto due brevi opere Mantrogopya e Yogangatrividhi. Quest'ultimo descrive le diverse fasi dell'illuminamento spirituale in un linguaggio criptico. Compose anche un piccolo numero di canzoni.

Allama Prabhu (1150), si distingue per il suo stile criptico, pone enfasi sul come il grado più alto di misticismo nella poesia palesi l'inadeguatezza del linguaggio. Usa il linguaggio contro il linguaggio, simboli contro i simboli. I riferimenti poetici e leggendari di Allama sono allegorici o iperbolici. Attacca con veemenza ilo sistema, i costumi, le pratiche includendo talvolta anche quelle dei vīraśaiva.

Channabasava (1150), nipote di Basava, fu uno scrittore prolifico. I suoi vachana sono risultano più lunghi rispetto alla norma. Nonostante ciò, la qualità dei suoi vachana non sono eccelsi, egli era infatti un pensatore e teologo interessato nella costruzione di un elaborato sistema di classificazioni. Scrive anche Mantragopya, un'opera mistica descrivente le fasi dell'esperienza dello yoga.

Siddharma fu invece un poeta molto influente che prese parte alla rivoluzione vīraśaiva di Basava nel XII secolo. Siddarama sostiene di aver scritto più di 68.000 vachana. La sua filosofia era incentrata sul servizio all'umanità seguendo il percorso del karmayoga. Insieme ad altri poeti condivide il rifiuto alle convenzioni sociale il rifiuto al sistema delle caste, alla discriminazione sessuale e pone enfasi sulla realizzazione del sé attraverso l'esperienza personale. Scrive inoltre diverse opere devozionali in stile tripadi.

La letteratura vachana (lett. 'ciò che è detto' o 'poema in prosa') dei santi vīraśaiva, inaugurata da Basava e composta in kannaḍa medio e telugu medio, iniziò a gettare luce sulle vaste letterature locali difficilmente conosciute fuori dal contesto del sud dell'India.  

Lo stile vachana consiste nella produzione di poesie coincise di natura devozionale ed espone gli ideali dei vīraśaiva. Possono essere recitati ma gli stessi poeti ammettono nei loro testi preferire  la recitazione cantata dei loro componimenti vachana. Questa tradizione inaugurata nel periodo medievale si avvicinò man mano sempre di più alla forma cantata allontanandosi sempre di più dalla forma originaria della letteratura kannaḍa. [38] A detta dello studioso Edward P. Rice:

In the form of  Vachanas are brief disconnected paragraphs, each ending with one or another of the numerous local names under which Śiva is worshipped. In style they are epigrammatical, pallalestic, allusive. They dwell on the vanity of riches, the valuelessness of mere rites or book-learning, the uncertainity of life, and the spiritual privileges of the Sivabhakta. They call upon men to give up the desire for worldly wealth and ease, to live lives of sobriety and detachment from the world, and to turn to Śiva for refuge. They are seldom controversial, but almost entirely oratory, devotional, and expository. They are still recited by Lingayat acharyas for the instruction of their followers.” [39]

Alcuni dei migliori componimenti vachana sono i padam [40] e le devaranamas [41] dei dasa. I dasa erano un gruppo di cantori religiosi di fede madhva che si spostavano attraverso il regno per cantare l'ingiustizia sociale e la vera e autentica fede.

Altri lavori degni di nota sono  Shivatatwa Chintamani di Lakkana Dandesa (1428 d.C.) contenente la descrizione della vita di vari santi vīraśaiva e l'opera di Mallanarya (1513), Vīraśaivamrita Purana,un lavoro che comprende più di settemila stanze in metro shatpadi.

2.6. La letteratura haridāsa

Il movimento haridāsa vide la sua fioritura negli strati sociali più elevati della società medievale per propagarsi in seguito anche tra le fasce più basse della popolazione. Il suo obiettivo era quello del mutamento individuale tramite la devozione a Viṣṇu, senza però intaccare le basi socio-politiche della società. Come i vīraśaiva, anch'essi criticavano il sistema castale, ma con l'intento di ammorbidire le rigide barriere dell'ordine sociale e a differenza dei vīraśaiva coltivarono un intimo rapporto con il tempio. Questo movimento accolse al suo interno anche individui provenienti dalle fasce più basse pur non essendo paragonabile all'afflusso degli stessi nel movimento vīraśaiva. Il movimento haridāsa produsse principalmente tre tipologie di poesia: kirtana, sulai, ugabhoga; un'altra forma forgiata dal movimento furono i mundige. Tutti questi generi di componimento sono strettamente legati alla musica. Nelle composizioni venivano impiegate molte metafore che richiamavano la vita quotidiana della gente comune imitando allo stesso tempo la loro vulgata. La tematica più ricorrente nei loro componimenti sono le celebrazioni del loro dio. Scrissero inni anche ad altre divinità oltre a Viṣṇu, come Ganeśa, dunque non si può parlare di monoteismo in senso stretto. La diffusione del movimento haridāsa coincise con l'aspirazione hindu nel costruire un impero con il celebrato imperatore Krisnadevaraya e questo è anche il periodo in cui il sistema di pensiero madhva [42] si divise in due rami: vyasa kuta, che voleva mantenere e perpetuare i lavori esoterici della scuola in lingua sanscrita; dasa kuta che voleva invece comunicare e diffondere l'essenza della stessa filosofia in lingua kannaḍa.

Il primo rappresentante della poesia haridāsa fu Narahari Teertha (XIII sec d.C.) del quale ci rimangono oggi tre opere. Le sue composizioni sono ricche sentimenti devozionali e caratterizzati da una forte umiltà. Qualche secolo dopo, Sripadaraya (XV sec. d.C.) scrisse canzoni in kannaḍa dando la forma finale al genere kirtana e fu il pioniere della forma sutadi. Sviluppò inoltre il terreno musicale della poesia haridāsa. Il suo discepolo Vyasaraya fondò la dasa kuta e fu il padre della cultura dasa. È ricordato per la sua influenza su coloro che sono considerati i più grandi poeti della letteratura kannada: Purandaradasa e Kankadasa.

Purandaradasa (1484-1564) abbandonò la sua vita da ricco uomo d'affari e la sua famiglia e, iniziato ai dasa da Vyasaraya, iniziò a vagare cantando e celebrando il nome di Hari, simpatizzando e avvicinando i poveri. Ha prodotto poesia in tutti i generi haridāsa. Secondo la tradizione i suoi lavori ammontano a 4.750.000 opere di cui solo un centinaio sono sopravvissuti fino ai nostri tempi. La sua popolarità è dovuta alla grande attenzione alla dimensione umana nei poemi devozionali. Egli descrive la gloria di dio usando l'idioma dell'uomo e della società umanizzano il divino e trascendendo il mondano. [43] Le sue composizioni di musica 'carnatica' [44] sono per la maggior parte in kannaḍa ma alcuni sono anche in sanscrito. Firmava le sue opere con lo pseudonimo di 'Purandara Viṭṭhala' (Viṭṭhala è una delle incarnazioni del dio indù Viṣṇu).

Kanakadasa (1508-1606) fu invece un piccolo re alleato dell'impero Vijayanagar, il quale, dopo esser stato ferito mortalmente in una battaglia si salvò la vita miracolosamente. In seguito a tale episodio decise di abbandonare la sua carica regale e fu iniziato ai dasa. Le sue poesie hanno a che fare con molti aspetti della vita ed espongono l'inutilità dei rituali e sottolineano la adempimento dei valori morali nella vita. Le sue composizioni affrontano questioni sociali, oltre che l'aspetto devozionale. Egli fu molto aggressivo e diretto nel criticare i mali della società, e le pretese di superiorità affermate e sostenute dal sistema castale. Tutte le sue composizioni di musica Karnataka terminano con la firma di 'Kaginele Adhikeshava'. Oltre ad essere stato un poeta fu anche un riformatore sociale al servizio della causa delle fasce più basse. Usò efficacemente la musica per trasmettere la sua filosofia ed è riconosciuto come uno dei più grandi musicisti, compositori, poeti, riformatori sociali, filosofi e santi che l'India abbia mai visto. Le sue opere principali sono: Nalacharitre, Haribhaktisara, Nrisimhastava, Ramadhanyacharitre, e Mohanatarangini. Kanakadasa scrisse anche circa 247 composizioni musicali (kirtane, ugabhogas, pada e mundiges o canzoni filosofiche). [45] I suoi scritti sono considerati unici nello stile. Nel Ramadhanyacharitre, un'allegoria sul conflitto tra le caste e le classi socialmente forti e deboli viene rappresentata come una discussione tra due grani di cibo, il riso e il ragi (miglio), e per questo è ritenuto uno dei pezzi letterari più creativi. La storia si fa veicolo per un potente messaggio sociale con focus sul lavoro. Il riso rappresenta il potente e ragi rappresenta il semplice lavoratore. I due grani venuti da Rama a far valere le proprie ragioni e stabilire la propria superiorità l'uno sull'altro vengono relegati entrambi in prigione da Rama per sei mesi. Alla fine del periodo, il riso era divenuto marcio mentre il ragi sopravvisse guadagnando così la benedizione di Rama.

2.7. Kathana: la narrativa storica

Le opere narrative della poesia medievale furono composte dopo la diffusione dei vachana. Poeti jaina e vīraśaiva composero narrative storiche con una importante percentuale di mitizzazioni. Altri lavori puramente storici furono il Nimbasamantha Charite di Pershwakavi (XII sec); Siruma Sangatya di Siddhakavi (1700); Keladinrupa Vijaya di Linganna (1763). Questi lavori si limitano per la maggior parte  alla narrazione degli eventi.

Degno di nota è il poeta Nanjudakavi (1525) e il suo lavoro Ramanatha Charite. L'opera narra la storia del leggendario principe Kumararama la cui breve ma drammatica vita fu soggetto di diversi poeti minori di fede vīraśaiva.

A conclusione di questo breve excursus sulla letteratura kannaḍa è importante ricordare qualche opera dei primi del XVII secolo. Da ricordare inoltre ci sono le collezioni di brevi racconti del XVI secolo Battisa puttali kathe, Betla panca vimsati kathe.[46] 

Si è visto fin qui come autori e poeti del Karnataka hanno contribuito al mondo della letteratura del Subcontinente indiano in misure sostanziose. Essi continuano ad influenzare ancora oggi generazioni di lettori attraverso i loro scritti in lingua kannaḍa. Molti di questi scrittori e autori hanno prodotto opere esemplari che hanno contribuito a provocare riforme nella società del tempo e che fanno riflettere, ancora oggi, il lettore contemporaneo. Ciò nonostante la lingua e la letteratura kannaḍa hanno ricevuto molta meno attenzione da parte degli studiosi rispetto alle lingue e letterature del telugu e del tamil. Secondo Rice questo fenomeno è probabilmente dovuto al fatto che la lingua  fosse sostanzialmente parlata dai solo nativi del Karnataka, e venuta meno in contatto con il mondo europeo abbia goduto di poca fortuna.[47] L'impressione erronea della superiorità della cultura e letteratura tamil e telugu, sia a livello strutturale che contenutistico, ha adombrato per molto tempo e, ingiustificatamente, la letteratura e la storia della lingua kannaḍa. Ad avere una debole fortuna, infatti, non è stato soltanto lo studio della lingua moderna ma anche lo studio del lingua kannaḍa antica (haḷagannaḍa) e tutta la letteratura fiorita in questa prima variante prima della rivoluzione culturale e letteraria del movimento vīraśaiva alle fine del XII sec. Il motivo di tale disinteresse o sottostima va probabilmente rintracciato anche nel fatto che per aver accesso a questa tipologia di letture e testi bisogna esser ottimi conoscitori anche della lingua sanscrita, avendo quest'ultima influito in misure importanti sulla haḷagannaḍa e la conseguente produzione letteraria. [48] Questo elemento non porti però a ritenere che la lingua kannaḍa derivi il suo prestigio solo grazie all'influenza esercitata dalla lingua sanscrita; essa assume prestigio di per sé già nel momento stesso in cui una tradizione usa la propria lingua, il proprio alfabeto, la propria scrittura  per farne un riflesso letterario ad una storia sociale, politica, e non meno importante religiosa e poetica di un popolo.

BIBLIOGRAFIA

Grierson, George Abraham, Linguistic Survey of India, 11 Vols. in 19 Parts. Delhi, Low Price Publ. (2005)

Krishnamurti, Bhadriraju, 2003, The Dravidian Languages, Cambridge, Cambridge University Press.

Pollock, Sheldon, 1998, 'The Cosmopolitan Vernacular', The Journal of Asian Studies, Vol. 57, No. 1, pp. 6-37, published by the Association for Asian Studies, Cambridge, Cambridge University Press.

Rice, B. Lewis, 1890, 'Early History ok Kannada Literature', The Journal of the Royal Asiatic Society of Great Britain and Ireland, pp. 245-262, Cambridge, Cambridge University Press.

Sandford, B. Steveer, 1998, The Dravidian Languages, London, Routledge.

Sastri, K. A. Nilakanta, 1958, A history of South India from prehistoric times to the fall of Vijayanagar, London, Oxford University Press. (First edition: 1955)

Shivaprakash, H.S., 1997, Medieval Kannada Literature in Medieval Indian Literature – An Anthology – Vol 1, K. Ayyappa Paniker, New Delhi, Sahitya Akademi.

SITOGRAFIA

http://www.britannica.com/topic/Dravidian-languages

http://www.britannica.com/topic/Kannada-language

http://www.kamat.com/kalranga/kar/literature/history2.htm

NOTE

[1] Sanford 1998.

[2] Krishnamurti 2003: 18.

[3] Ibidem, 19.

[4] Ibidem

[5] Ibidem, 16.

[6] Ibidem, 17.

[7] Sandford 1998.

[8] Linguista (Antim 1814 - Kodaikanal 1891). Missionario anglicano a Madras e successivamente vescovo di Tinnevelly, pubblicò alcuni studi sulle lingue dravidiche.

[9] Vedi http://www.britannica.com/topic/Dravidian-languages#toc279623

[10] Krishnamurti 2003: 2.

[11] Krishnamurti 2003: 2.

[12] Ibidem: 1.

[13] Krishnamurti 2003: 6.

[14] Kautilya è un semi-leggendario scrittore indiano, ritenuto autore dell'importante trattato politico Arthaśāstra. E' considerato come uno dei più grandi economisti indiani di tutti i tempi. Secondo la tradizione oltre che poeta fu anche ministro del re Chandragupta Maurya (325 – 185 a.C.) e avrebbe avuto un decisivo ruolo nella sua ascesa al potere.

[15] Il Periplo del Mar Eritreo o Periplo del Mar Rosso è un documento antico probabilmente risalente al I sec. a.C. In esso sono descritte le rotte di navigazione sul Mar Rosso e in parte l'Oceano Indiano e il Golfo Persico. Il testo originale, andato perduto, era in greco scritto probabilmente da un mercante egiziano di epoca romana.

[16] Vedi http://www.britannica.com/topic/Dravidian-languages

[17] Ibidem.

[18] "Declaration of Telugu and Kannada as classical languages" Press Information Bureau. Ministry of Culture, Government of India. 31 October 2008. Retrieved, 17 February 2013.

[19] Sandford 1998: 129.

[20] Con 'diglossia' si intende la coesistenza di due varietà di una stessa lingua all'interno di una comunità linguistica. Spesso, una forma è detta dialetto letterario o di prestigio, e l'altra variante è identificata con un dialetto comune parlato dalla maggior parte della popolazione. Tale situazione esiste in molte comunità linguistiche in tutto il mondo. Vedi http://www.britannica.com/topic/diglossia.

[21] Sandford 1998: 130.

[22] Ibidem, 129.

[23] Per maggiori dettagli sulla struttura grammaticale della lingua kannaḍa si veda Sandford B. Steveer, The Dravidian Languages,(1998), Routledge.

[24] Lingayat o vīraśaiva è una confessione śaiva distinta praticata in India. Prende forma da diversi aspetti dell'Induismo e propone la confessione monoteista attraverso l'adorazione di Śiva nella forma di Ishtalinga. Come il buddismo, jainismo, sramana, carvaka, e sikhismo, esso non segue direttamente i Veda e il sistema delle caste. Non condivide la credenza nella reincarnazione e nel karma. La setta fu fondata nel XII sec. dal filosofo e politico Basava e si diffuse tramite i suoi seguaci, gli sharanas.

[25] Haridāsa è un movimento devozionale che ha origine in Karnataka. In un arco di quasi sei secoli, molti santi e mistici hanno aiutato la cultura, la filosofia e l'arte del Sud l'India in generale e del Karnataka in particolare, esercitando una notevole influenza spirituale sulle masse e regni che hanno governato l'India del Sud. Questo movimento è stato inaugurato dal haridāsa (let. "servi del Signore Hari") e ha preso forma nel secolo XIII - XIV sec. d.C. periodo, prima e durante la prima dominazione dell'impero di Vijayanagar. L'obiettivo principale di questo movimento è stato quello di diffondere la filosofia dvaita di Madhvacharya (Madhva Siddhanta) alle masse attraverso un mezzo letterario conosciuto come dāsa sahitya ("letteratura dei servi del Signore").

[26] Sastri 1958: 383.

[27] Kāvyādarśa rappresenta il primo trattato sistematico di poetica in sanscrito. Nell'opera Daṇḍin sostiene la bellezza di un poema deriva dall'uso delle figure retoriche di cui ne distingue 35 tipologie.

[28] Sastri 1958: 383.

[29] Ovvero “attraversatore del guado" o "vittorioso" è il titolo che si usa nel jainismo per indicare i 24 profeti che si sono succeduti nei cicli storici per rivelare il jainismo stesso all'umanità.

[30] Kevala Jnana (diacritici) è detta essere una qualità intrinseca di tutte le anime. Questa qualità è mascherata da particelle karmiche che circondano l'anima. Ogni anima ha il potenziale di ottenere l'onniscienza da spargimento di queste particelle karmiche. Le scritture jaina parlano di dodici tappe attraverso le quali l'anima raggiunge questo obiettivo. Un'anima che ha raggiunto kevala jnana è chiamato appunto kevalin.

[31] Sastri 1958: 383.

[32] Ibidem,. p. 383.

[33] Vedi http://www.kamat.com/kalranga/kar/literature/history2.htm

[34] Shivaprakash, Medieval Kannada Literature in Medieval Indian Literature – An Anthology – Vol 1, K. Ayyappa Paniker, Sahitya Akademi, India (1997).

[35] Sastri 1958: 388.

[36] Ibidem, 388.

[37] The Basava Purana of Palkuriki Somanatha, Velcheru Narayana Rao, Publication Year 2014, Published by: Princeton University Press. 

[38] H.S. Shivaprakash, Medieval Kannada Literature in Medieval Indian Literature – An Anthology – Vol 1, K. Ayyappa Paniker, Sahitya Akademi, India (1997).

[39] K. A. Nilakanta Sastri, “A history of South India from prehistoric times to the fall of Vijayanagar” Second edition. Oxford University Press, 1958. p. 388-389.

[40] padam è una tipologia unica dii composizione che occupa un ruolo importante oggigiorno nel Bharata Natyam.

[41] Devaranamas (nome del Dio) erano composizioni bhakti risultato dell'omonimo movimento sviluppatosi nell'India del Sud, soprattutto in Karnataka durante il 13° e il 14° secolo. Il loro scopo primario era quello di promuovere la filosofia dvaita di  Madhvacharya attraverso la letteratura.

[42] Da Madhyācharya il terzo della trinità dei filosofi che hanno influenzato il pensiero indiano dopo l'età dei Veda e Purana. Propose la filosofia dvaita o del dualismo. Fu un riformatore sociale e religioso dichiarando che la salvezza era aperta a tutti e non limitata dalla nascita. I suoi insegnamenti hanno attirato molti seguaci facendo rivivere le tradizioni del Bhaghavatha o bhakti in Karnataka. Vedi http://www.karnataka.com/personalities/madhvacharya/

[43] Shivaprakash 1997: 197.

[44] La musica 'carnatica' è lo stile musicale classico usato nell'India meridionale. Il genere è principalmente vocale e strettamente connesso alla sfera religiosa. La maggior parte dei testi utilizzati nelle composizioni ha carattere devozionale. Le principali forme vocali del genere sono il krti e il pallavi, nelle quali l'improvvisazione gioca un ruolo di primaria importanza.

[45] Shivaprakash 1997: 198.

[46] Ibidem, 197.

[47] Rice, B. Lewis, Early History ok Kannada Literature in The Journal of the Royal Asiatic Society of Great Britain and Ireland, pp. 245-262, (1890) published by: Cambridge University Press.

[48] Pollock 1998: 21.

bottom of page