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Lo Street Vendors (Protection of Livelihood and Regulation of Street Vending) Act, 2014 come soluzione alla questione dello street vending

di Luisa Alladio

                  

Laboratorio su analisi delle politiche di sviluppo in India

Prof. Matilde Adduci

A.A. 2013/2014

Università degli Studi di Torino - Laurea Magistrale in Lingue e Civiltà dell'Asia e dell'Africa

Introduzione

La presente relazione si propone di affrontare la questione degli street vendors identificandoli all'interno del panorama socio-economico urbano in India, osservando i problemi che li affliggono maggiormente e analizzando le soluzioni proposte a livello legale, che hanno come obiettivo il miglioramento delle loro condizioni di vita e la regolazione della loro attività di vendita.

 

In accordo con la National Policy on Urban Street Vendors del 2009, un venditore di strada è "a person who offers goods or services for sale to the public in a street without having a permanent built-up structure" (Government of India, 2009: 2.1, p. 3). Essa inoltre ne identifica tre categorie (Government of India, 2009: 2.1, p. 3):

  1. Stationary "those who carry out vending on a regular basis at a specific location, e.g. those occupying space on the pavements or other public places and/or private areas either open/covered (with implicit or explicit consent) of the authorities";

  2. Peripatetic "those who carry out vending on foot and sell their goods and services and includes those who carry basket on their head/slung on their shoulders and those who sell their goods on pushcarts";

  3. Mobile "those who move from place to place vending their goods or services on bicycle or mobile units on wheels, whether motorized or not. They also includes vendors selling their wares in moving buses, local trains etc.".

Profilo degli street vendors

La letteratura disponibile sul tema[1] concorda nell'inserire gli street vendors nel settore del lavoro urbano informale, e in particolare del self-employment. Secondo lo studio compiuto da Bhowmik e Saha (2012) su commissione della NASVI[2] nel 2009, emergono una serie di caratteristiche comuni ai venditori di strada delle maggiori città indiane[3]. Innanzitutto, si tratta di persone che scelgono questo lavoro perché non hanno alternativa, ovvero non hanno la possibilità di fare alcun altro lavoro. O perché sono abitanti poveri delle aree rurali che si spostano in città e, non potendosi candidare per lavori nell'ambito formale, iniziano a lavorare nel settore informale; oppure perché, licenziati dai loro precedenti regolari impieghi, cercano un modo per guadagnarsi da vivere. D'altro canto lo street vending non richiede una formazione particolare, né investimenti insostenibili, perciò si presenta come una valida alternativa. Con le dovute eccezioni, i lavoratori di strada sono in maggioranza uomini, prevalentemente sposati e con un'età compresa tra i 25 e i 55 anni (la presenza femminile è all'incirca del 30%, con l'eccezione della città di Imphal dove è dell'88%, e si tratta soprattutto di donne sposate e/o vedove che non hanno altri mezzi di sostentamento). Il loro livello di istruzione è basso e una parte è analfabeta o in grado solo di scrivere il proprio nome. La maggior parte appartiene alle OBC[4], mentre gli appartenenti alle SC sono circa il 15% e la popolazione ST è quasi assente nello street vending. Dal punto di vista della religione, l'80% dei venditori sono indù, seguiti da musulmani e, in minima parte, cristiani e sikh, che costituiscono meno del 5%. Solitamente sono più numerosi i venditori stationary rispetto a quelli peripatetic, e vendono vari tipi di prodotti: tessuti, oggetti di metallo, plastica, pelle, articoli di elettronica, frutta e verdura, cibi crudi e cotti, ecc. I prodotti alimentari e deperibili in genere sono più venduti, soprattutto dalle donne, perché richiedono investimenti ridotti. La maggior parte dei venditori abita in un raggio di 5 km dal luogo di lavoro, che viene raggiunto a piedi, in bici o in autobus. Questo tragitto viene percorso trasportando i prodotti da vendere, dato che una buona parte dei lavoratori li tiene in casa propria durante la notte, per evitare furti o danni, e perché non possono permettersi di pagare l'affitto di uno spazio per immagazzinarli vicino al posto di lavoro. Per quanto riguarda le risorse per finanziare l'attività, per la maggior parte essi attingono ai propri risparmi. L'alternativa costosa è costituita dagli usurai, che applicano tassi di interesse molto alti; quella più economica da amici e parenti, rivenditori che forniscono la merce su base giornaliera oppure da cooperative e self-help group. I venditori sono impegnati nella vendita per una media di 8-12 ore al giorno, alle quali bisogna aggiungere il tempo per il reperimento e/o trasporto della merce, o per la pulizia degli alimentari freschi (frutta e verdura, pesce), portando così la media a 10-14 ore. Circa il 65% dei venditori paga regolarmente le autorità locali e la polizia per poter svolgere l'attività di vendita, anche se questo non garantisce l'assenza di maltrattamenti, minacce, espulsione e confisca dei prodotti.

Questioni chiave

Emergono chiaramente i problemi che affliggono questa categoria di working poor. Nello studio condotto sulla vita lavorativa degli street vendors di Mumbai (Saha, 2011), Debdulal Saha sottolinea come i guadagni dei lavoratori siano sufficienti per il loro mantenimento, ma la situazione cambia se si tiene conto che il denaro ricavato spesso serve a mantenere un'intera famiglia e non un solo individuo, perciò il guadagno deve essere diviso per tutti i componenti del nucleo familiare e questo fa sì che in almeno la metà dei casi analizzati nello studio si finisca sotto la soglia di povertà assoluta. Le condizioni di lavoro sono dure e l'esposizione a incidenti è alta visto che i lavoratori trascorrono metà della loro giornata sulla strada. Ciò causa anche problemi di salute quali ipertensione, problemi al cuore, allo stomaco e ai reni, dovuti all'inquinamento atmosferico, allo stress e alla mancanza di strutture adeguate (es. bagni pubblici). Trattandosi di lavoratori informali, non hanno accesso all'assistenza sanitaria, né godono di alcun tipo di protezione sociale. Secondo lo studio di Mumbai, circa la metà dei lavoratori si indebitano per pagare le spese delle cure mediche, dell'allevamento e dell'educazione dei figli. Inoltre i prestiti, per qualunque finalità (protezione sociale o finanziamento della propria attività), sono ricercati da parenti o usurai che praticano elevati tassi di interesse, dal momento che i lavoratori di strada, in quanto parte del settore informale, non hanno accesso al credito istituzionale.

Il dibattito è acceso soprattutto sulla questione dell'accesso agli spazi pubblici, perché riguarda anche altre parti sociali, e in particolare le classi media e medio-elevata[4]. Se per i lavoratori il suolo pubblico è una risorsa dalla quale possono cercare di trarre un mezzo di sostentamento, generalmente sono percepiti come invasori abusivi, e accusati di ostacolare il passaggio con la loro presenza e quella dei loro clienti. Perciò sono costanti vittime di vessazioni da parte della polizia urbana, che esercita minacce di espulsione e di confisca dei prodotti, ed estorce loro denaro offrendo in cambio la possibilità di continuare l'attività. Inoltre essi rappresentano un ostacolo per i piani di sviluppo delle città, dai quali spesso sono completamente esclusi. Abhayraj Naik individua ben sedici critiche solitamente usate contro la pratica dello street vending (Naik, 2014), come l'elevata concentrazione di persone in punti precisi delle città e delle strade, che può provocare incidenti, aumentare l'inquinamento atmosferico dovuto alle congestioni del traffico, ostacolare il passaggio di mezzi di emergenza come polizia, vigili del fuoco o ambulanze; oppure bloccare le consegne o raccolte porta a porta e le uscite di grandi edifici e favorire le occasioni di furti e borseggi; inoltre i venditori di strada sono spesso accusati di produrre inquinamento acustico e spazzatura, di danneggiare le attività commerciali regolari limitrofe, del mancato rilascio di ricevute evadendo quindi le tasse sui loro guadagni e di contribuire a generare un flusso di denaro non tracciabile; alcuni di loro sono minorenni, altri praticano commerci illegali come vendita non autorizzata di biglietti, sfruttamento della prostituzione, spaccio di stupefacenti.

La realtà è che il numero di street vendors in India ha iniziato a crescere notevolmente a partire dal 1991, in concomitanza con l'adozione del neoliberismo (Bhowmik, 2005: p. 2262), e attualmente si stima che il 2% della popolazione urbana sia occupata in questa attività, ovvero probabilmente più di dieci milioni di persone. A questi si aggiungano coloro che realizzano i prodotti venduti e coloro che ne usufruiscono quotidianamente, e il numero aumenta ulteriormente. Come sottolinea Nita Mathur "Street vendors are too prominent to be ignored in Indian cities" (Mathur, 2014: p. 22). Nonostante questo, però, sono considerati venditori abusivi, che occupano il suolo pubblico, e che inquinano le città con i loro rifiuti e con la loro stessa presenza. Abhayraj Naik nota il sottile paradosso che si viene a creare nel contesto urbano:

"The informal economy of street trade presents a compelling challenge to standard assumptions implicit in economic decision-taking, governmental policy and legal iteration. At the core of the uncertainty is an ambiguous moral decision that involves recognising, as 'legitimate', the satisfaction of certain rights arising from informal legal relations of street trade (including, amongst others, the right to livelihood, the right to use of public commons, the right to affordable essentials goods, the right to safety, the right to trade, the right to dignity). The moral ambiguity usually arises due to competing claims of macro-level economic efficiency and fairness, health, safety, security, aesthetic preference, city planning, etc."

                                                                                                                     (Naik, 2014: p. 2).

 

Aspetto legale

Satyam Shivam Sundaram ripercorre la legislazione riguardo agli street vendors a partire dalla costituzione indiana (Sundaram, 2008). Essi, come ogni cittadino indiano, godono di uguaglianza di fronte alla legge, del diritto di praticare qualsiasi professione e di libertà personale. Inoltre, l'autore prende in esame alcuni verdetti della Corte Suprema, relativi ai maggiori problemi riguardo allo street vending. Emergono punti di vista contradditori: gli street vendors hanno il diritto di praticare la loro attività finché non danneggiano la libertà degli altri utenti della strada, ma in altri casi viene loro impedito di costruire strutture permanenti sul suolo pubblico, suggerendo la creazione di aree apposite per ospitare i venditori di strada in modo da risolvere la questione evitando le rimozioni forzate. Inoltre nel 1986 la Corte Suprema invita i governi a regolamentare l'attività attraverso un sistema di licenze e l'assegnazione di spazi adibiti a tale scopo. La tendenza sembra essere verso un riconoscimento della loro attività, ma d'altro canto si lascia ampio spazio alla gestione locale e alle autorità, le quali possono minacciare i venditori e estorcere loro denaro in nome dell'occupazione di spazi a loro non adibiti, o in nome del mancato rispetto verso gli utenti della strada, fornendo agli street vendors una tutela molto tenue e soggetta all'arbitrato delle autorità locali, le quali ne ricavano una non trascurabile fonte di guadagno.

La National Policy for Urban Street Vendors del 2004 cerca di fornire loro una legittimazione ufficiale:

"Urban vending is not only a source of employment but provide 'affordable' services to the majority of urban population. The role played by the hawkers in the economy as also in the society needs to be given due credit but they are considered as unlawful entities and are subjected to continuous harassment by civic authorities.

... Street Vendors provide valuable service to the urban population while trying to earn a livelihood and it is the duty of the State to protect the right of this segment of population to earn their livelihood."

                                                                                     (Government of India, 2004: p. 3).

 

Essa si pone come obiettivo il supporto degli street vendors a livello legale, materiale e in termini di sicurezza sociale. Fornisce indicazioni in merito alla creazione di zone adibite a mercati per i venditori di strada, debitamente fornite di servizi per lo smaltimento dei rifiuti e per i venditori stessi (strutture per la vendita, bagni pubblici, ecc.), che siano gestite dai Town Vending Committee[5].

Inoltre suggerisce la creazione di un sistema di registrazione dei venditori (su pagamento di una tassa), che si sostituisca a quello delle licenze, eliminando la questione dell'illegalità per chi non è in possesso della licenza di vendita. Si specifica anche il divieto di espulsione dal suolo pubblico, a meno di casi eccezionali, in cui è necessario fornire ai venditori un luogo alternativo per praticare la loro attività, oppure una valida riabilitazione. Per quanto riguarda l'accesso al credito istituzionalizzato e ai programmi di protezione sociale, la National Policy supporta l'azione di self-help group e di associazioni di lavoratori, sottolineando anche la necessità di programmi di assicurazione per la protezione dei prodotti, fonte primaria di guadagno per i lavoratori.

La National Policy prende in considerazione i punti fondamentali e centrali per la tutela dei venditori di strada, ma resta una disposizione del governo centrale, che necessita dell'implementazione a livello statale per entrare davvero in vigore. Essa infatti si conclude così: "All State governments should ensure that institutional arrangements, legislative frameworks and other necessary actions achieve conformity with the National Policy for Street Vendors." (Government of India, 2004: p. 12). Sundaram nota come essa non impedisca alle autorità locali di esercitare le consuete vessazioni contro i venditori di strada e che:

"... just having a national policy will not serve the purpose even if the guidelines address most of the issues raised over the years. The lack of a timeframe and implementation schedule has also gone against the vendors and the lackluster approach of the state and local governments have continued. The current situation is not one of its kind. Most of new policies/laws/regulations are formed without repealing the existing laws/regulations which make the ensuing policies/laws/regulation handicapped in being able to benefit the desired segment and so is the case of the urban vendors."

                                                                                                (Sundaram, 2008: p. 25).

 

Considerazioni simili possono essere fatte anche riguardo alla National Policy on Urban Street Vendors del 2009, che si presenta come una revisione della precedente, a conferma della centralità dell'argomento nel dibattito socio-politico. Alcuni punti vengono ulteriormente approfonditi, fornendo maggiori indicazioni. Come fa notare Bandyopadhyay, rispetto al documento del 2004 "the revised document of 2009 makes a significant omission with regard to the protection of street vendors from the existing repressive Municipal laws" (Bandyopadhyay, 2011). Egli inoltre mette in luce alcuni punti deboli. Ad esempio, la creazione di spazi limitati per lo street vending implica che a qualcuno verrà negata la possibilità di praticare la propria attività, rendendola contemporaneamente legale e garantita dalla legge, ma anche illegale e quindi perseguibile con multe, confisca dei beni e espulsione. E la garanzia che rappresentanti delle associazioni di venditori costituiscano il 40% del Town Vending Committee non tiene conto del fatto che la maggior parte dei venditori non faccia parte di alcuna associazione, e resti dunque non rappresentata.

Il 6 settembre 2012 lo Street Vendors (Protection of Livelihood and Regulation of Street Vending) Bill ottiene l'approvazione alla Lok Sabha (camera bassa), e il 19 febbraio 2014 anche quella della Rajya Sabha (camera alta), per poi essere definitivamente approvato dal presidente indiano il 4 marzo 2014, diventando così Act e entrando in vigore a partire dal maggio scorso. Si tratta di una legislazione del governo centrale vivamente richiesta, per dare finalmente un risvolto concreto alle precedenti National Policy, che risultavano:

"progressive, but rarely implemented, because they lacked the force of law. ... If the protection of street vending is left to the goodwill of States, it is unlikely that many States will enact this legislation. Under the National Policy, it was the responsibility of the States to give institutional design and legislative framework, as well as to implement the policy. Unfortunately, powerful urban interests have stymied such laws and their implementation."

                                                                                                                      (Mander, 2011: p. 1,2).

 

Le direttive diventano legge con potere vincolante, anche se, fin da quando lo Street Vendors era ancora una proposta di legge in attesa di approvazione, sono emersi alcuni punti deboli. Ancora una volta Mander scrive su The Hindu:

"Laudably the law affirms that its purpose is not just to regulate street vending, but also to protect the livelihood rights of street vendors. But in practice, the major part of the Bill is devoted to registration and licensing, and the system that the Bill proposes is still opaque and confusing. ... In effect, all the law does is to give the right to a vendor to vend if she or he has a certificate of registration; and this certificate depends on the scheme prepared by the local body, prescribing where vendors may run their business, and what numbers. In material terms, how does this change the situation in which vendors find themselves today?"

                                                                                                                      (Mander, 2012: p. 2).

 

Rohan J. Alva, nella sua revisione critica dello Street Vendors Bill (Alva, 2013), sottolinea di nuovo il problema dei numeri: la delimitazione delle aree di vendita limita inevitabilmente il numero dei venditori, che implica l'esclusione di una parte di loro a meno che non si riesca a trovare spazi sufficienti per accoglierli tutti all'interno dei cosiddetti natural market[6]. E dal momento che i certificati vengono concessi su pagamento di tasse, i primi ad esserne esclusi sono chiaramente coloro che non possono permettersi quel tipo di spesa. L'autore inoltre puntualizza la mancanza di una sezione, all'interno del Bill, nella quale siano specificati i diritti degli street vendors:

"... the right to street vending does not guarantee the protection of all the rights that a street vendor is entitled to enjoy. ... the simple declaration of street vendors having the right to vend on the streets will not in itself propel the legislative project of advancing the interest of street vendors."

                                                                                                                                 (Alva, 2013: p.8).

 

Inoltre, una volta specificati i diritti dei venditori, lo stato dovrebbe farsi garante di tali diritti. Al contrario, la legge è specifica nell'introduzione di pene contro i venditori che contravvengano ai termini e alle condizioni del certificato di vendita. Sono previste multe, revoca o sospensione del certificato stesso e il divieto di vendita imposto dalla polizia e dagli ufficiali statali. Si tratta di pene piuttosto severe, se si considera che il Bill non prevede una distinzione tra i tipi di trasgressione nei confronti del certificato di vendita, e che la sospensione o revoca del certificato implicano la cessazione dell'attività dei venditori, eliminando la loro fonte di guadagno e apparendo così contradditorie con gli stessi diritti costituzionali. Emerge poi che la polizia e gli ufficiali statali possono imporre il divieto di vendita e che mantengono un certo potere, che possono esercitare liberamente nei confronti di chi non è in possesso di un certificato di vendita. La stessa legge contiene una sezione intitolata "Prevention of harassment of street vendors", che recita:

"Notwithstanding anything contained in any other law for the time being in force, no street vendor who carries on the street vending activities in accordance with the terms and conditions of his certificate of vending shall be prevented from exercising such rights by any person or police or any other authority exercising powers under any other law for the time being in force."

(The Street Vendors [Protection of Livelihood and Regulation of Street Vending] Act, 2014: cap. VII, 27).

 

È quindi inevitabile dedurre che:

"... section 27 provides for protection of street vendors from the officials and the enjoyment of the right to vend, to only those street vendors who vend in accordance with the conditions of the certificate of vending. Thus, all street vendors do not have a general right of freedom from police and official actions or harassment, but do so only if they possess the certificate of vending, and secondly, if they vend in accordance with the terms of the certificate of vending."

                                                                                                                      (Alva, 2013: p. 11).

 

A ciò si aggiunga che, di fatto, la polizia ha il potere di decidere se un venditore può o meno continuare a vendere, e questo gli lascia ampio spazio per minacce ed estorsioni di denaro a danno dei venditori, i quali si sentono costantemente minacciati dai poliziotti e, in ultima analisi, dallo stato stesso.

Sempre Alva nota come si superino i limiti della costituzionalità all'interno della legge stessa. Nella sezione "Penal Provisions" viene attribuito il potere di condannare i venditori di strada al pagamento di multe alla local authority, definita come:

"a Municipal Corporation or a Municipal Council or a Nagar Panchayat ... entitled to function as a local authority in any city or town to provide civic services and regulate street vending and includes the 'planning authority' which regulates the land use in that city or town"

(The Street Vendors [Protection of Livelihood and Regulation of Street Vending] Act, 2014: cap. I, 2.1c).

 

Ciò significa che l'autorità di governo locale possiede contemporaneamente il potere esecutivo e quello giudiziario, contravvenendo all'articolo 50 della Costituzione indiana[7], e fallendo nel garantire l'imparzialità di giudizio

 

Conclusione

La legislazione sugli street vendors in India è segno dell'importanza che ha assunto il tema, il quale coinvolge almeno due parti sociali: i venditori, rilevanti in termini numerici, e gli appartenenti alla classe media urbana, influenti in termini politici; ma anche questioni centrali come lo sviluppo urbano, il mercato del lavoro, la gestione dei servizi nelle città. Per questo bisogna indubbiamente riconoscere che l'intero dibattito si presenta come articolato e complesso, e di non facile gestione. Lo Street Vendors Act rappresenta un passo importante, ma non si pone come soluzione definitiva, innanzitutto e soprattutto perché si tratta di una legge del governo centrale che necessita dell'implementazione a livello statale. Questo presenta il rischio che l'attuazione avvenga in modo parziale, ma anche l'opportunità che i singoli stati si adoperino per attivare una regolamentazione dello street vending che tenga conto delle realtà locali specifiche, e che si apra alla collaborazione con le parti sociali coinvolte, prime fra tutte gli stessi venditori di strada. In questo modo, cioè entrando in contatto con la realtà socio-economica, sarà forse possibile elaborare una adeguata gestione dello street vending, ed eventualmente sanare i punti deboli della legislazione vigente, in modo da garantire agli street vendors i diritti costituzionali, il diritto di svolgere la loro attività, un programma di protezione sociale e una tutela adeguata.

Note

[1] Si vedano i seguenti studi: Bhowmik, 2000; Bhowmik, 2005; Saha, 2011; Bhowmik, Saha, 2012.

[2] National Alliance of Street Vendors of India. Sito web: www.nasvinet.org

[3] Le città studiate sono: Bhubaneshwar, Bengaluru, Delhi, Hyderabad, Imphal, Indore, Jaipur, Lucknow, Mumbai e Patna.

[4] I termini OBC, SC e ST sono comunemente usati per indicare rispettivamente Other Backward Classes, Scheduled Castes e Scheduled Tribes. Si tratta di termini generici per indicare le caste più basse della società indiana, socialmente discriminate e svantaggiate. Definite secondo le indicazioni contenute nella Costituzione indiana (si vedano gli articoli 341, 342, 366, Parte XVI), sono oggetto di politiche di discriminazione positiva per favorirne l'integrazione e lo sviluppo.

[5] Per approfondimenti sul dibattito sugli spazi pubblici urbani si veda Fernandes Leela, 2004. "The Politics of Forgetting: Class Politics, State Power and the Restructuring of Urban Space in India", Urban Studies, novembre 2004 (No. 12), Vol. 41: pp. 2415-2430.

[6] Definito come: "the body constituted by an appropriate Government for protecting the livelihoods of street vendors while at the same time imposing reasonable restrictions, if necessary, for ensuring flow of traffic and for addressing concerns relating to public health and hygiene in the public interest." (National Policy on Urban Street Vendors, 2009: 2.3, p. 4)

[7] Definito come: "a market where sellers and buyers have traditionally congregated for the sale and purchase of products or services and has been determined as such by the local authority on the recommendations of the Town Vending Committee." (Street Vendors [Protection of Livelihood and Regulation of Street Vending] Act, 2014: cap. I, 2.1.e)

[8] "The State shall take steps to separate the judiciary from the executive in the public services of the State."

Bibliografia:

 

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